Sentenza n. 238 del 2022

SENTENZA N. 238

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco DALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), e dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dal Tribunale ordinario di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra P. M. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza dell’8 febbraio 2022, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti gli atti di costituzione di P. M. e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2022 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Chiara Mestichelli per P. M., Lelio Maritato per l’INPS e l’avvocato dello Stato Federica Varrone per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 18 ottobre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’8 febbraio 2022 (reg. ord. n. 14 del 2022), il Tribunale ordinario di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per contrasto con gli artt. 3, anche in riferimento all’art. 118, comma quarto, 23, anche in riferimento all’art. 41, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui prevedono l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a carico degli ingegneri e degli architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi professionali, non possono iscriversi alla Cassa previdenziale di riferimento in quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono, dunque, iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria.

L’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, prevede, con decorrenza dal 1° gennaio 1996, l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS, «finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti», sia dei «soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’articolo 49, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», sia dei «titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 49» predetto (ora, a seguito della riforma introdotta con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, recante «Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della L. 7 aprile 2003, n. 80»: art. 53).

L’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito – norma dichiaratamente di interpretazione autentica del citato art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 – dispone che quest’ultimo si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, tenuti all’iscrizione presso l’apposita Gestione separata INPS, «sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti ed ordinamenti».

Gli enti a cui la norma interpretativa fa riferimento sono le Casse, gli Enti e gli Istituti previdenziali già istituiti per le diverse categorie professionali, trasformati in persone giuridiche private dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) nonché quelli successivamente costituiti ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 (Attuazione della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione), di attuazione della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della legge n. 335 del 1995, in materia di tutela previdenziale dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione ad appositi albi ed elenchi.

Nell’esegesi della norma interpretativa consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità e assurta a regola di diritto vivente, è prevalsa la tesi secondo la quale il versamento contributivo in favore degli enti previdenziali di riferimento categoriale, cui l’attività di lavoro autonomo abitualmente esercitata non deve essere soggetta perché sorga l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, si specificherebbe nel contributo cosiddetto soggettivo, vale a dire nel contributo il cui versamento è subordinato all’iscrizione all’ente previdenziale di categoria e che determina la costituzione di un vero e proprio rapporto giuridico previdenziale, comportante il diritto alle prestazioni erogate dall’ente medesimo per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

In base al prevalso orientamento giurisprudenziale, dunque, dovrebbero ritenersi obbligati ad iscriversi alla Gestione separata INPS non solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti che, pur svolgendo attività il cui esercizio sia subordinato a tale iscrizione, non sono tuttavia iscritti alla Cassa di previdenza professionale (eventualmente in ragione del divieto derivante dall’iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria) e restano quindi obbligati al versamento del solo contributo cosiddetto integrativo (comportante l’erogazione di prestazioni assistenziali di carattere mutualistico), non anche di quello cosiddetto soggettivo, a cui consegue l’accensione di una vera e propria posizione previdenziale.

L’obbligo di iscrizione, inoltre, vi sarebbe non soltanto nei casi di esercizio per professione abituale dell’attività di lavoro autonomo (conformemente al disposto testuale di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995), ma, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, anche nei casi di esercizio di attività di lavoro autonomo occasionale, allorché il reddito annuo da essa derivante superi l’importo di euro 5.000,00, ai sensi dell’art. 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

1.1.– Tra questi professionisti rientrano gli ingegneri e gli architetti, i quali, pur essendo iscritti ai relativi albi professionali, svolgano, tuttavia, anche un’altra attività lavorativa e siano pertanto iscritti alla forma di previdenza obbligatoria corrispondente all’altra attività esercitata e non già alla Cassa categoriale.

In vero, la legge 4 marzo 1958, n. 179 (Istituzione e ordinamento della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti), nell’istituire la Cassa categoriale (cosiddetta Inarcassa) con personalità giuridica, in origine, di diritto pubblico (art. 1), successivamente privatizzata in base al d.lgs. n. 509 del 1994, aveva previsto che fossero iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli architetti che potessero esercitare, per legge, la libera professione (art. 3).

Tale previsione, tuttavia, è stata modificata dall’art. 2 della legge 11 novembre 1971, n. 1046 (Modifiche ed integrazioni alla legge 4 marzo 1958, n. 179, concernente l’istituzione e l’ordinamento della cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti ed abrogazione della legge 6 ottobre 1964, n. 983, recante modificazioni alla predetta legge n. 179), il quale, con decorrenza dal 1°gennaio 1972, ha stabilito il divieto di iscrizione alla cassa per «gli ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata».

Il divieto è stato ribadito dall’art. 21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), la quale però ha anche previsto, all’art. 10, comma primo, con decorrenza dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, che «tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e di architetto devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla cassa l’ammontare indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore».

Per un verso, dunque, i professionisti in parola, pur svolgendo l’attività professionale abitualmente, non possono iscriversi alla Cassa in ragione della diversa attività lavorativa svolta e della relativa posizione previdenziale assunta; per altro verso, in quanto iscritti all’albo di ingegnere od architetto, sono comunque tenuti a versare alla cassa medesima un contributo integrativo.

Movendo da una interpretazione dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, conforme a quella successivamente fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, l’INPS ha proceduto ad iscrivere d’ufficio alla Gestione separata i professionisti che, pur essendo iscritti all’albo e versando il contributo cosiddetto integrativo, non erano tuttavia iscritti alla Cassa previdenziale di categoria e non versavano, pertanto, il contributo cosiddetto soggettivo.

1.2.– L’ordinanza di rimessione è stata emessa in un giudizio introdotto da un professionista che si trovava nelle dette condizioni, il quale, nel 2018, aveva ricevuto dall’INPS, oltre alla comunicazione di essere stato iscritto d’ufficio alla Gestione separata, ai sensi dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, anche l’intimazione di pagamento dei contributi ad essa dovuti in ragione del reddito da attività professionale maturato nell’anno 2012.

Precisamente, l’architetto P. M., dopo aver vanamente presentato ricorso amministrativo avverso tali provvedimenti, ha proposto, in via principale, domanda di accertamento negativo dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS e della conseguente obbligazione di versare i relativi contributi; in via subordinata, ha, invece, domandato l’annullamento delle sanzioni e degli interessi applicati nell’intimazione impugnata.

Il professionista ha dedotto l’insussistenza del suo obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS, sul presupposto che esso, alla luce dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, recante l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, dovrebbe reputarsi sussistente soltanto a carico dei professionisti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi, mentre egli, al contrario, pur essendogli preclusa l’iscrizione all’Inarcassa, nondimeno era iscritto all’albo degli architetti ed era in regola con il pagamento del contributo cosiddetto integrativo a favore della Cassa medesima.

L’INPS, costituitosi in giudizio, ha resistito alle domande.

1.3.– Tanto evidenziato, il rimettente ritiene che l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito – nella parte in cui prevede l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS da parte degli ingegneri ed architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi professionali, non possono iscriversi alla cassa previdenziale di riferimento, in quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono dunque iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria – non si sottragga al sospetto di illegittimità costituzionale.

Il giudice a quo prende atto che nella giurisprudenza di legittimità è prevalsa e si è consolidata l’interpretazione estensiva della disposizione costituita dalla saldatura tra la norma interpretata e la norma interpretativa, in ragione della quale l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS, con decorrenza dal 1° gennaio 1996, graverebbe non solo sui soggetti che, in ragione dell’attività esercitata, non devono iscriversi ad un albo professionale, ma anche su quelli che, pur dovendo iscriversi ad un albo, non hanno il contestuale obbligo (o, come nel caso dei professionisti titolari di rapporto di altro rapporto di lavoro, subiscono persino il divieto) di iscriversi alla Cassa previdenziale di riferimento, sempre che, naturalmente, l’attività sia esercitata in via abituale o, se occasionale, abbia prodotto un reddito annuo superiore ad euro 5.000,00 (in quest’ultimo caso l’obbligo decorre dal 1° gennaio 2004, conformemente al disposto dell’art. 44, comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito).

L’univocità dell’interpretazione, prevalsa nella giurisprudenza di legittimità, vanificherebbe ogni tentativo di accedere ad una diversa esegesi della disposizione in esame, mentre il consolidamento della predetta interpretazione in una regola di diritto vivente aprirebbe la strada al sindacato della legittimità costituzionale della regola medesima.

2.– Ciò posto, il rimettente evidenzia come le prospettate questioni di legittimità costituzionale siano rilevanti nel giudizio a quo.

Ove, infatti, la disciplina recata dall’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, ormai consolidata in una situazione di diritto vivente, dovesse ritenersi legittima, le domande proposte dal ricorrente dovrebbero essere rigettate in applicazione della stessa, essendo egli un architetto che nel 2012 (anno a cui si riferiscono i redditi tratti dall’attività professionale svolta in forma abituale, oggetto dell’accertamento compiuto dall’INPS) era iscritto all’albo, ma non alla Cassa previdenziale di categoria (in quanto titolare di posizione previdenziale correlata ad altra attività lavorativa esercitata) ed era, pertanto, bensì tenuto al versamento del contributo integrativo, ma non anche di quello soggettivo.

Al contrario, ove le questioni di legittimità costituzionale dovessero ritenersi fondate, le domande proposte dal professionista dovrebbero essere accolte, accertandosi l’insussistenza del suo obbligo di iscriversi alla Gestione separata e, conseguentemente, l’insussistenza del credito contributivo vantato dall’INPS nei suoi confronti.

3.– Oltre che rilevanti, le questioni di legittimità costituzionale sarebbero, altresì, non manifestamente infondate.

3.1.– In primo luogo, sussisterebbe il dubbio che l’art 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, violi l’art. 3 Cost., ponendosi in contrasto con il principio di ragionevolezza.

Il rimettente osserva che l’impianto sistematico risultante, per un verso, dal processo di privatizzazione degli enti previdenziali di categoria (contemplato dal d.lgs. n. 509 del 1994) e, per altro verso, dalla estensione della copertura assicurativa ai lavoratori autonomi realizzata attraverso la legge n. 335 del 1995, in ossequio al principio di universalizzazione delle tutele, era connotato da una sua intrinseca razionalità.

L’art. 2 della predetta legge aveva distinto infatti la tutela previdenziale dei liberi professionisti iscritti ad albi (comma 25) da quella dei lavoratori autonomi non iscritti ad albi professionali (comma 26).

Questa distinzione trovava conferma nel d.lgs. n. 103 del 1996, attuativo della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della legge n. 335 del 1995, che aveva ribadito l’estensione della tutela previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgevano attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio fosse condizionato all’iscrizione in appositi albi o elenchi.

In questo contesto – ritiene il rimettente – la soluzione più coerente e ragionevole, in relazione alla copertura assicurativa dei professionisti già iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (ma iscritti altresì all’albo professionale e tenuti, dunque, al versamento del contributo integrativo), sarebbe stata quella di assoggettarli all’obbligo di versare (anche) un contributo soggettivo alle relative casse categoriali, in conformità con la disciplina introdotta in ordine alla analoga posizione dei professionisti già pensionati.

Ad avviso del rimettente, l’esigenza di coerenza con la scelta sistematica fondamentale volta a differenziare la tutela dei liberi professionisti iscritti ad albi da quella dei lavoratori autonomi non iscritti ad albi professionali – unitamente al rapporto di analogia sussistente tra la fattispecie relativa ai professionisti già pensionati e quella dei professionisti iscritti ad altre forme previdenziali (in entrambi i casi sussiste l’iscrizione all’albo con versamento del contributo integrativo, mentre si è esonerati dal versamento di quello soggettivo in ragione della non iscrizione alla cassa) – avrebbe dovuto indurre il legislatore a realizzare anche per i secondi la piena copertura previdenziale all’interno della propria categoria professionale.

La diversa ed ingiustificata scelta legislativa di sottoporli all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l’INPS avrebbe, invece, comportato – secondo il giudice rimettente – l’irragionevole effetto di comprimere l’autonomia regolamentare e statutaria riconosciuta dallo stesso legislatore alle casse previdenziali private, tra cui figura quella degli architetti e degli ingegneri.

3.2.– Oltre che il principio di ragionevolezza, ad avviso del rimettente, l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, porrebbe in sofferenza anche il canone di proporzionalità.

Per coprire il “vuoto” di obbligo assicurativo esistente in relazione all’attività dei professionisti già iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria, lo strumento più idoneo e proporzionato in funzione del suo raggiungimento sarebbe stato quello già adottato con riguardo all’analoga fattispecie dei pensionati, ossia l’introduzione di un obbligo di iscrizione e di contribuzione soggettiva in favore della cassa categoriale.

3.3.– Verrebbe poi in rilievo anche il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost.

La circostanza che gli enti previdenziali di diritto privato (tra cui Inarcassa) svolgano un’attività di interesse pubblico consentirebbe di ritenere – secondo il giudice a quo – che tale attività rappresenti una delle forme tipiche in cui si esprime e trova attuazione la sussidiarietà orizzontale, sia quale principio che impegna lo Stato e gli enti territoriali a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sia quale modalità di esercizio del potere pubblico, legislativo e amministrativo, rispetto all’autonomia privata.

Tale principio di sussidiarietà non sarebbe invece rispettato dalla norma censurata, la quale prevedrebbe l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS dei professionisti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie, senza attribuire alcuna autonomia alla cassa di riferimento della relativa categoria professionale.

3.4.– Sarebbe altresì violato anche l’art. 23 Cost.

Il giudice a quo – richiamata la pacifica opinione secondo cui la riserva di legge posta da questa norma costituzionale, ai fini dell’imposizione di prestazioni patrimoniali, avrebbe carattere relativo – osserva che la concreta entità della prestazione imposta dovrebbe essere chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione. Invece, nel caso di specie, la conformità della disposizione censurata al parametro costituzionale sarebbe messa in forse dall’incerta identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva.

Né – osserva il rimettente – potrebbe ritenersi che i requisiti di certezza richiesti dall’art. 23 Cost. possano trarsi dalla prevalsa interpretazione giurisprudenziale della disposizione censurata.

Tale interpretazione, al contrario, essendo priva del carattere della prevedibilità, lungi dal concretare la «base legislativa» necessaria in funzione del rispetto della riserva di legge prevista dal parametro costituzionale in esame, integrerebbe piuttosto una violazione di quella garanzia di libertà che è insita nel principio di legalità.

3.5.– La norma risultante dalla saldatura tra l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, e l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, si porrebbe, infine, in contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, il quale dispone che ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni, e che nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità.

In particolare, difetterebbe «una sufficiente determinazione da parte della legge delle condizioni soggettive di imposizione del contributo», sì che le disposizioni censurate sarebbero contrastanti con il diritto convenzionale al rispetto dei beni per le medesime ragioni per le quali esse si porrebbero in contrasto con l’art. 23 Cost.

4.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare inammissibili e, comunque, non fondate le questioni sollevate.

5.– Nel giudizio incidentale si sono costituiti sia il professionista (che ha invocato la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata), sia l’INPS, il quale prima di invocare, invece, la declaratoria di non fondatezza delle questioni, ne ha contestato anche la rilevanza, sul presupposto dell’avvenuta estinzione per prescrizione del credito contributivo oggetto dell’azione di accertamento negativo esercitata nel giudizio a quo.

6.– In prossimità dell’udienza pubblica, sia le parti che l’interveniente hanno depositato memorie.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza dell’8 febbraio 2022 (reg. ord. n. 14 del 2022), il Tribunale ordinario di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, e dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, per contrasto con gli artt. 3, anche in riferimento all’art. 118, comma quarto, 23, anche in riferimento all’art. 41, e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui prevedono l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’INPS a carico degli ingegneri e degli architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi professionali, non possono iscriversi alla cassa previdenziale di riferimento in quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono dunque iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria.

Come sopra ricordato, la prima disposizione (art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995) prevede, con decorrenza dal 1° gennaio 1996 – in funzione dell’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti – l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS, dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’art. 49 (ora, a seguito della riforma introdotta con il d.lgs. n. 344 del 2003: art. 53) del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi). La seconda disposizione (art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) – dichiaratamente di interpretazione autentica della prima – dispone che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, e che sono pertanto tenuti all’iscrizione presso l’apposita Gestione separata INPS, sono quelli che svolgono attività il cui esercizio non è subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti previdenziali istituiti per le diverse categorie professionali; enti, questi ultimi, istituiti sia in base a leggi preesistenti – e trasformati da soggetti pubblici in persone giuridiche private con il d.lgs. n. 509 del 1994 – sia all’esito dell’attuazione della delega conferita dalla stessa legge n. 335 del 1995 (art. 2, comma 25) e attuata dal Governo con il d.lgs. n. 103 del 1996.

1.1.– Secondo il giudice rimettente vi sarebbe contrasto con l’art. 3 Cost. della norma risultante dalla saldatura tra la disposizione interpretata e la disposizione interpretativa, nell’esegesi prevalsa nella giurisprudenza di legittimità e assurta a regola di diritto vivente, in ragione della violazione del principio di ragionevolezza.

A suo avviso, infatti, l’esigenza di coerenza con la scelta sistematica fondamentale volta a differenziare la tutela dei liberi professionisti iscritti ad albi da quella dei lavoratori autonomi non iscritti ad albi professionali (art. 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995) – unitamente al rapporto di analogia sussistente tra la fattispecie relativa ai professionisti già pensionati e quella dei professionisti iscritti ad altre forme previdenziali – avrebbe dovuto indurre il legislatore a realizzare anche per i secondi (come già previsto per i primi ai sensi dell’art. 18, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) la piena copertura previdenziale all’interno della propria categoria professionale, mentre la diversa e ingiustificata soluzione di sottoporli all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l’INPS comporterebbe l’irragionevole effetto di comprimere l’autonomia regolamentare e statutaria riconosciuta dallo stesso legislatore alle casse previdenziali private, tra cui figura quella degli architetti e degli ingegneri.

Oltre che il principio di ragionevolezza, la norma sospettata di illegittimità costituzionale si porrebbe in contrasto con il canone di proporzionalità in ragione della maggiore ed ingiustificata incisività patrimoniale rispetto al criterio adottato con riguardo all’analoga fattispecie dei pensionati.

L’art. 3 Cost. sarebbe violato, ancora, anche in riferimento all’art. 118, quarto comma, Cost., avuto riguardo alla circostanza che l’attività di interesse pubblico svolta dagli enti previdenziali di diritto privato (tra cui, per quanto di interesse nel caso in esame, Inarcassa) rappresenta una delle forme in cui si esprime la sussidiarietà orizzontale, intesa sia quale principio che impegna lo Stato e gli enti territoriali a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sia quale modalità di esercizio del potere pubblico, legislativo e amministrativo, rispetto all’autonomia privata.

Quanto, infine, al contrasto della disciplina posta dal precetto unitario nascente dalla saldatura tra l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, con gli artt. 23 (da considerare anche in riferimento all’art. 41 Cost.) e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU), esso deriverebbe, in particolare, dall’incerta identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva.

2.– Preliminarmente, va osservato che sussiste la rilevanza nel giudizio a quo delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, dovendo il giudice fare applicazione delle disposizioni censurate al fine di riconoscere, o negare, l’obbligo contributivo del ricorrente in favore della Gestione separata INPS.

La rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale è stata messa in dubbio dall’INPS, il quale, costituendosi nel giudizio incidentale, ha obiettato che il credito contributivo oggetto dell’azione di accertamento negativo esercitata nel processo a quo sarebbe estinto per il decorso del termine di prescrizione quinquennale, avuto riguardo alla circostanza che esso aveva ad oggetto i versamenti dovuti dal professionista in relazione ai redditi dell’anno 2012 (in ordine ai quali il termine prescrizionale decorreva dall’8 luglio 2013, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995) e che la richiesta di adempimento proveniente dal creditore era stata ricevuta dal debitore solo in data 3 agosto 2018.

Deve in proposito osservarsi che – come risulta dall’ordinanza di rimessione – la prescrizione del credito dedotto in giudizio non è stata eccepita nel giudizio a quo.

Pur dovendosi prendere atto che, nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995, alla disponibilità delle parti ed è rilevabile d’ufficio, va comunque osservato che essa, nella fattispecie, non è stata in concreto rilevata dal giudice nell’esercizio del potere officioso di rilievo delle eccezioni in senso lato.

In ogni caso la (eventuale) declaratoria di non debenza dei contributi, perché prescritti, muoverebbe dal presupposto (controverso tra le parti in giudizio) dell’obbligo per il professionista ricorrente di iscrizione alla Gestione separata INPS per l’anno 2012. Quindi il giudice rimettente deve comunque pronunciarsi in ordine alla sussistenza, o no, di tale obbligo sulla base della normativa della cui legittimità costituzionale egli dubita.

Inoltre – e ciò è dirimente – va rilevato che la domanda di accertamento negativo del ricorrente nel giudizio a quo non concerne soltanto l’obbligazione contributiva avente ad oggetto i versamenti relativi ai redditi maturati nell’anno 2012, ma anche – e principalmente – l’obbligo attuale di iscrizione alla Gestione separata istituita presso l’INPS, rispetto al quale non si pone un problema di prescrizione.

Le questioni sollevate sono, pertanto, rilevanti e ammissibili, avendone inoltre il giudice rimettente motivato adeguatamente anche la non manifesta infondatezza.

3.– Giova premettere che questa Corte (sentenza n. 104 del 2022), esaminando analoghe questioni di legittimità costituzionale con riferimento alla previdenza forense, ha già operato una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, quanto alla posizione della Gestione separata INPS nel sistema generale di tutela previdenziale dei professionisti (con particolare riferimento ai rapporti tra questa nuova gestione previdenziale e le casse professionali categoriali), nonché quanto alla interpretazione giurisprudenziale della disciplina posta dall’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, prima e dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa introdotta con l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito.

Deve qui aggiungersi, con riguardo al parallelo sistema di previdenza degli ingegneri ed architetti, che, sebbene la legge n. 179 del 1958, nell’istituire la relativa cassa categoriale, avesse in origine previsto che vi fossero iscritti tutti gli ingegneri e gli architetti che potevano esercitare, per legge, la libera professione (art. 3), successivamente l’art. 2, secondo comma, della legge n. 1046 del 1971, modificando tale disposizione, ha stabilito che, con decorrenza dal 1° gennaio 1972, l’iscrizione alla cassa era esclusa per «gli ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata».

L’esclusione è stata poi ribadita dalla legge n. 6 del 1981 (art. 21, quinto comma), la quale però ha anche previsto, con decorrenza dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, che «tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e di architetto devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla cassa l’ammontare indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore».

Della legittimità costituzionale di tale esclusione ex lege si è dubitato. Ma questa Corte (sentenza n. 108 del 1989) – con riferimento al contesto normativo dell’epoca, in seguito profondamente mutato a seguito della privatizzazione delle casse previdenziali di categoria e della tendenziale universalizzazione della copertura assicurativa previdenziale mediante l’introduzione della Gestione separata – ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 1046 del 1971, nella parte in cui escludeva dall’iscrizione alla Inarcassa ingegneri e architetti iscritti a forme di previdenza obbligatoria in dipendenza dell’esercizio di un’altra attività di lavoro autonomo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. Ha rilevato, con riguardo al primo parametro, che i vari sistemi previdenziali, nell’ambito delle libere professioni, conservano una propria autonoma individualità e sono, pertanto, inconfrontabili tra di loro, sicché non rileva che una simile disposizione non sia presente nella disciplina previdenziale di altre categorie professionali; ed ha osservato, rispetto al secondo parametro, che la norma non impedisce una tutela previdenziale adeguata, ma preclude soltanto una duplice posizione assicurativa.

Perdurando tale esclusione, che comportava una sorta di divieto di iscrizione all’Inarcassa, l’individuazione, in concreto, dei destinatari dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 poneva, dunque, il problema se essi andassero identificati esclusivamente nei professionisti che esercitavano una attività per la quale non era prevista l’iscrizione ad un apposito albo professionale (nonché in quelli che svolgevano una attività che presupponeva bensì tale iscrizione, ma in relazione alla quale gli enti esponenziali a livello nazionale di quelli abilitati alla tenuta dell’albo non avessero ancora deliberato la costituzione di un ente previdenziale categoriale o la partecipazione ad uno pluricategoriale o ad uno già costituito per categorie similari, in conformità al disposto dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 103 del 1996), oppure anche nei professionisti che, benché iscritti all’albo ed aventi una cassa previdenziale di riferimento, non avessero, tuttavia, per ragioni reddituali, l’obbligo (o subissero addirittura il divieto, in ragion dell’iscrizione ad altre forme previdenziali obbligatorie) di iscriversi altresì alla cassa medesima, alla quale versavano solo il contributo integrativo, ma non anche quello soggettivo, senza acquisire il diritto alle prestazioni previdenziali propriamente dette.

Al fine di chiarire i dubbi circa l’effettiva portata dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, è intervenuto, con disposizione dichiaratamente di interpretazione autentica, il legislatore. Con l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, è stato, infatti, previsto che l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, tenuti all’iscrizione presso l’apposita Gestione separata INPS, «sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti ed ordinamenti».

Il legislatore non si è limitato a prevedere che i soggetti tenuti ad iscriversi alla Gestione separata INPS sono quelli che svolgono «attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali», ma ha aggiunto che tale obbligo compete anche a coloro che svolgono «attività non soggette al versamento contributivo agli enti» della categoria professionale di appartenenza.

In proposito, questa Corte ha già ritenuto, con la ricordata sentenza n. 104 del 2022, che l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, sia una disposizione genuinamente di interpretazione autentica, in quanto il significato da essa espresso, secondo l’interpretazione prevalsa nella giurisprudenza di legittimità a partire dal 2017, poteva ritenersi già contenuto tra i significati plausibilmente espressi dalla disposizione interpretata.

In particolare, nella giurisprudenza di legittimità (a partire da Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 18 dicembre 2017, n. 30344 e n. 30345) è prevalsa l’interpretazione, ormai consolidata in una regola di diritto vivente, secondo cui l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata è quello – cosiddetto soggettivo – correlato all’obbligo di iscriversi alla propria gestione di categoria e suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale.

Il fondamento di questo principio risiede nell’esigenza di «universalizzazione della copertura assicurativa», espressa dagli artt. 35 e 38 Cost., la quale obbliga lo Stato a prevedere che ad ogni attività lavorativa, subordinata o autonoma, sia necessariamente collegata un’effettiva tutela previdenziale.

Costituisce, dunque, regola di diritto vivente – assunta come tale anche dal giudice rimettente – quella secondo cui sono obbligati ad iscriversi alla Gestione separata INPS non solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie per i quali è preclusa l’iscrizione alla cassa di previdenza categoriale, a cui versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti agli albi, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio (così, da ultimo, segnatamente con riferimento agli architetti e agli ingegneri, nel solco di un consolidato orientamento, Corte di cassazione, sezione sesta civile, sentenza 23 giugno 2022, n. 20288).

4.– Ciò premesso, possono ora essere esaminate nel merito le sollevate questioni di legittimità costituzionale, le quali evocano anzitutto il dubbio che il precetto normativo unitario risultante dalla saldatura tra la disposizione interpretata, di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, e la disposizione interpretativa, di cui all’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nell’esegesi consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità e assurta a regola di diritto vivente, si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost.

Il comune denominatore delle censure, sollevate in riferimento a tale parametro, risiede nell’assunto che la norma indubbiata, da un lato, avrebbe introdotto una disciplina incoerente con l’impianto sistematico risultante dalla complessiva riforma volta alla privatizzazione degli enti previdenziali di categoria (d.lgs. n. 509 del 1994) e all’estensione della copertura assicurativa ai lavoratori autonomi (legge n. 335 del 1995 e d.lgs. n. 103 del 1996); dall’altro lato, avrebbe realizzato l’irragionevole effetto di comprimere l’autonomia regolamentare e statutaria riconosciuta dallo stesso legislatore alle casse previdenziali private, e, in particolare, a quella degli architetti e degli ingegneri (Inarcassa).

Avuto riguardo a tale comune fondamento, le censure in esame – che peraltro si coniugano anche con quelle riferite agli ulteriori parametri dell’art. 23, dell’art. 41 e dell’art. 118, quarto comma, Cost., nonché a quello interposto dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost. – sono, nella sostanza, largamente sovrapponibili a quelle recentemente sottoposte all’attenzione di questa Corte – sia pure con riferimento a una categoria professionale (gli avvocati del libero foro) assoggettata ad un regime previdenziale in parte analogo a quello previsto per la categoria degli architetti e ingegneri, a cui appartiene il professionista interessato dal giudizio a quo – e dichiarate non fondate con la già richiamata sentenza n. 104 del 2022.

4.1.– In tale pronuncia, questa Corte ha considerato la funzione e il fondamento della Gestione separata nel sistema generale della tutela previdenziale dei professionisti.

Il legislatore ha costantemente seguito una coerente linea di progressivo ampliamento della tutela previdenziale. In convergenza con questa tendenza è stato introdotto l’istituto residuale della Gestione separata, volto a colmarne i “vuoti” e a realizzare la finalità dell’estensione, soggettiva ed oggettiva, della tutela medesima.

La vocazione universalistica della gestione separata – ulteriormente corroborata dai molti interventi legislativi successivi alla legge n. 335 del 1995 volti ad estenderne l’operatività – consente di affermare, in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 14 dicembre 2018, n. 32508 e 12 dicembre 2018, n. 32166 e n. 32167), che tale istituto, lungi dal porsi in posizione di irragionevole distonia rispetto al sistema generale della tutela previdenziale, come assume il giudice rimettente, ne costituisce piuttosto l’imprescindibile momento di compimento e chiusura, assolvendo a una funzione complementare e non già rigidamente alternativa.

La censura di irragionevolezza sollevata dal giudice a quo va dunque ritenuta non fondata, ribadendo le considerazioni già svolte da questa Corte (sentenza n. 104 del 2022) in ordine al fondamento costituzionale dell’istituto, la cui ratio – avuto riguardo alla circostanza che la tutela previdenziale assume rilevanza, sul piano costituzionale, sia per i lavoratori subordinati che per i lavoratori autonomi, essendo il lavoro tutelato «in tutte le sue forme ed applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.) – risiede nell’attuazione dell’obbligo dello Stato di dare concretezza al principio della universalità delle tutele assicurative obbligatorie relative a tutti i lavoratori (art. 35 Cost.), rispetto agli eventi indicati nell’art. 38, secondo comma, Cost., nei modi previsti dal comma quarto dello stesso art. 38 (che assegna tale missione a «organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato»).

Proprio in ragione di tale principio, l’attività professionale degli ingegneri o degli architetti, svolta con modalità che la rendono assoggettata all’imposizione diretta sui redditi, non può rimanere senza copertura assicurativa per il solo fatto che la concorrente ulteriore attività lavorativa, quale quella svolta dagli stessi soggetti con rapporto di lavoro subordinato, comporti già l’iscrizione ad una distinta forma di assicurazione obbligatoria. A questa esigenza di copertura assicurativa supplisce l’obbligo, previsto dalla normativa censurata, di iscrizione alla Gestione separata presso l’INPS.

4.2.– Il meccanismo introdotto dalla norma censurata – che individua i soggetti tenuti all’iscrizione nella Gestione separata mediante riferimento eteronomo a norme fiscali e fa dipendere l’obbligo contributivo dal reddito tratto dal lavoro professionale, ove esercitato in via abituale – esclude sia la denunciata irragionevolezza di tale assetto, sia la violazione del canone di proporzionalità.

Il giudice a quo, infatti, per sostenere che la disciplina sospettata di illegittimità costituzionale non costituirebbe il “mezzo più mite” tra quelli possibili al fine di estendere la copertura assicurativa e di attuare il principio costituzionale della universalità della tutela previdenziale, muove, in particolare, dalla comparazione di essa con la diversa disciplina prevista per i professionisti già pensionati, rispetto alla quale si caratterizzerebbe per una ingiustificata maggiore onerosità patrimoniale, avuto riguardo sia all’entità dell’obbligo di contribuzione alla Gestione separata (la cui aliquota, per l’anno 2012, rilevante nel giudizio a quo, è stata più elevata di quella del contributo soggettivo dovuto all’Inarcassa), sia alla sua estensione temporale (l’obbligo di contribuzione alla Gestione separata ha decorrenza dal 1° gennaio 1996, trovando la propria fonte nell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, mentre quello previsto in capo ai professionisti pensionati, dall’art. 18, comma 11, del medesimo d.l., decorre dal 7 gennaio 2012).

Ma, da una parte, non vi è alcuna analogia tra la situazione in cui si trovano i professionisti già pensionati (in relazione ai quali, nell’ipotesi di prosecuzione dell’esercizio dell’attività professionale dopo il pensionamento, il legislatore ha attribuito alle casse categoriali il compito di prevedere l’obbligo di iscrizione e contribuzione, stabilendo, in mancanza, il pagamento di un contributo soggettivo ridotto rispetto a quello dovuto in via ordinaria dagli iscritti a ciascun ente: art. 18, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) e la diversa fattispecie degli architetti e degli ingegneri iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o di altra attività esercitata (in ordine ai quali vige, proprio in ragione di tale iscrizione, il divieto di iscriversi alla cassa professionale categoriale: art. 2, secondo comma, della legge n. 1046 del 1971 e art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981).

Invero, l’obbligo di contribuzione a favore della cassa professionale, posto a carico dei professionisti già pensionati con decorrenza dal gennaio 2012, ha preso il posto dell’obbligo contributivo presso la Gestione separata, insorto in dipendenza della decisione di molte casse professionali, a seguito del processo di privatizzazione, di esonerare i pensionati, che pure avessero proseguito nell’esercizio abituale della loro attività professionale, dall’obbligo di pagamento del contributo soggettivo. Si versa, dunque, in ipotesi non già di diversa decorrenza dell’obbligo di contribuzione, ma della sua sostituzione verso la cassa all’obbligo contributivo verso la Gestione separata; sostituzione che costituisce l’effetto del sopra illustrato rapporto di complementarità tra i due regimi, dovuto all’incidenza del concreto esercizio dell’autonomia regolamentare delle casse e alla funzione complementare e di chiusura dell’istituto della Gestione separata.

D’altra parte, va osservato che il meccanismo introdotto dalla norma sulla Gestione separata, la cui decorrenza muove proprio dall’istituzione di tale forma di assicurazione obbligatoria residuale (ossia dal 1° gennaio 1996), è fondato (al pari di quello che regola il versamento del contributo soggettivo alle casse professionali) sul principio di graduazione dell’obbligo contributivo del professionista, la cui entità si incrementa in proporzione al reddito tratto dall’attività professionale.

Tale principio di graduazione – deve poi soggiungersi – trova nel regime della Gestione separata un’attuazione più rigorosa che nel regime delle casse professionali, stante l’esclusione di un minimale contributivo, sicché l’entità del contributo dipende esclusivamente dall’ammontare del reddito tratto dall’attività professionale abitualmente esercitata (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 12 febbraio 2010, n. 3240).

4.3.– La deduzione circa la presunta ingiustificata maggiore gravosità patrimoniale della contribuzione dovuta alla Gestione separata INPS, rispetto a quella che verrebbe versata alla cassa professionale, è stata formulata, dal giudice rimettente, anche sul rilievo dell’impossibilità per il professionista di computare gli importi versati a titolo di contributo integrativo nel cosiddetto “montante contributivo individuale”.

Questo specifico rilievo investe il problema dell’effettività e dell’adeguatezza della tutela previdenziale realizzata mediante l’istituto della Gestione separata, problema che, in termini più generali, si pone in ragione della sempre più frequente interazione di questo istituto residuale (il cui ambito soggettivo e oggettivo di operatività è stato progressivamente ampliato a nuove figure di lavoratori) con le diverse forme di assicurazione obbligatoria previste nell’ambito delle singole categorie, nonché in ragione della composita realtà sociale, sempre più frequentemente caratterizzata da percorsi professionali eterogenei che danno luogo a distinti periodi assicurativi presso diverse gestioni di previdenza.

Dinanzi a questa realtà, il legislatore, perseguendo la finalità di consentire il cumulo di tutte le posizioni contributive maturate durante la vita lavorativa per conseguire un unico trattamento pensionistico, ha introdotto, già da tempo, due diversi istituti, la ricongiunzione (legge 5 marzo 1990, n. 45, recante «Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti») e la totalizzazione (decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, recante «Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi»), nonché, negli ultimi anni, il nuovo istituto del cumulo gratuito (art. 1, comma 239, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato «Legge di stabilità 2013»”), prevedendone, più di recente, l’estensione anche alle casse professionali (art. 1, comma 195, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019»).

Per effetto di questa disciplina, dal 1° gennaio 2017 il cumulo contributivo – che consente al lavoratore la possibilità di cumulare i periodi assicurativi accreditati presso differenti gestioni, senza oneri a suo carico, per il riconoscimento di un’unica pensione da liquidarsi secondo le regole di calcolo previste da ciascun fondo e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento – è fruibile anche dagli iscritti alle casse professionali e alla Gestione separata.

5.– Quanto alla censura di violazione dell’art. 3, anche in riferimento all’art. 118, quarto comma, Cost., per lesione della sussidiarietà orizzontale (intesa sia quale principio che impegna lo Stato e gli enti territoriali a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sia quale modalità di esercizio del potere pubblico, legislativo e amministrativo, rispetto all’autonomia privata), essa ripropone la questione della lesione dell’autonomia delle casse previdenziali professionali privatizzate laddove queste prevedano un perimetro dell’obbligo assicurativo meno esteso di quello della Gestione separata; questione che, in termini più generali, è già stata dichiarata non fondata da questa Corte (sentenza n. 104 del 2022).

Al riguardo, si è infatti osservato che il rapporto intercorrente tra le casse professionali e la Gestione separata si pone in termini non già di alternatività, ma di complementarità, in quanto l’istituto residuale della Gestione separata opera proprio in relazione ai soggetti e alle attività eventualmente esclusi dalla cassa professionale di categoria (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 marzo 2020, n. 7485).

Il legislatore, con l’introduzione dell’istituto, non ha fissato un rigido riparto di competenze tra la Gestione separata e le casse professionali, ma piuttosto ha attribuito un carattere elastico alla capacità di espansione della Gestione separata, in diretta dipendenza dal concreto esercizio della potestà di autoregolamentazione della cassa professionale.

Soltanto se quest’ultima, nell’esercizio di tale potere, riconosciutole dalla legge, decide di non assoggettare taluni professionisti all’obbligo di versamento di contributi utili a costituire una posizione previdenziale, l’operatività della Gestione separata, quale istituto residuale a vocazione universalistica, vede espandere la sua sfera di operatività, sempre che, beninteso, ne ricorrano i relativi presupposti, ossia che ricorra l’esercizio abituale di un’attività professionale o, se occasionale, che esso abbia prodotto un reddito superiore a un determinato importo. Al contrario, se la cassa professionale, sempre nell’esercizio della autonomia stabilita dalla legge, decide di estendere l’obbligo di versare contributi utili alla costituzione del diritto a prestazioni pensionistiche a professionisti precedentemente esclusi, la capacità elastica della Gestione separata si comprime, restringendosi il suo campo di applicazione.

Avuto riguardo al peculiare regime previdenziale degli architetti e degli ingegneri iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di altra attività esercitata, la cassa professionale di riferimento (Inarcassa), diversamente da altre, non può esercitare il proprio potere di autoregolamentazione estendendo loro l’obbligo di versare contributi utili alla costituzione del diritto a prestazioni previdenziali. Questa preclusione, tuttavia, dipende non già dalla disciplina dell’istituto della Gestione separata (censurata dal giudice rimettente), bensì dal divieto introdotto dall’art. 2 della legge n. 1046 del 1971 e confermato dall’art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981, che ha posto fuori dalla cassa categoriale di riferimento tutti gli ingegneri e gli architetti titolari di altro rapporto lavorativo e, per conseguenza, di diversa iscrizione previdenziale.

Ove non vi fosse tale specifico divieto – peraltro in passato, come già ricordato, ritenuto costituzionalmente non illegittimo da questa Corte (sentenza n. 108 del 1989) – la Cassa professionale degli architetti e degli ingegneri sarebbe libera di esercitare il proprio potere di autoregolamentazione.

Il meccanismo introdotto dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale, dunque, non solo non si pone in contraddizione con il regime previsto dalle norme speciali costitutive della previdenza categoriale, ma ne integra l’operatività in funzione dell’attuazione di una più ampia finalità mutualistica.

6.– Una ulteriore questione di legittimità costituzionale del precetto normativo unitario risultante dalla saldatura tra la disposizione interpretata (art 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995) e quella interpretativa (art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) è posta dal Tribunale di Rieti in riferimento all’art. 23 Cost. (da considerare anche in riferimento all’art. 41) e con riguardo all’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

La conformità della disposizione censurata al parametro dell’art. 23 Cost. sarebbe messa in dubbio dall’incerta identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva e tale incertezza rileverebbe anche sotto il profilo del parametro sovranazionale, poiché da essa deriverebbe il mancato rispetto dei requisiti di compatibilità dell’ingerenza con il principio enunciato dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

6.1.– Anche queste ulteriori censure non sono fondate.

Va infatti rilevato che l’ambito soggettivo di estensione dell’istituto della Gestione separata risulta chiaro – e dunque certo – alla luce del pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale, dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ha accolto, senza incertezze, l’interpretazione estensiva, consolidatasi in una regola di diritto vivente, secondo cui sono tenuti ad iscriversi alla Gestione separata tanto i lavoratori autonomi e i professionisti sprovvisti di un albo professionale, quanto quelli che, pur essendo iscritti, a causa dell’attività esercitata, a uno specifico albo (e versando, in ragione di tale iscrizione, il contributo integrativo), tuttavia non sono altresì iscritti alla relativa cassa professionale (e non versano pertanto il contributo soggettivo), sia che la non iscrizione alla cassa professionale sia dovuta alla mancata integrazione dei presupposti al verificarsi dei quali scatta l’obbligo di iscriversi, sia che dipenda, al contrario, dalla sussistenza di un divieto in tal senso, derivante dall’iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria.

La prevalsa interpretazione giurisprudenziale, che ha superato quella di segno contrario affermatasi in un primo momento nell’esegesi della norma originaria, si fonda sulla norma di interpretazione autentica dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e pertanto assicura la prevedibilità dell’obbligo contributivo con riferimento alla fattispecie del giudizio a quo. Ciò consente di ritenere integrata la «base legislativa» necessaria in funzione del rispetto della riserva di legge prevista dal parametro costituzionale.

7.– Non sfugge a questa Corte che le argomentazioni del giudice a quo, fondate sull’incertezza dell’interpretazione dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e sull’asserita imprevedibilità del successivo orientamento giurisprudenziale, pur non integrando, nella specie, una specifica questione di legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica, evocano, tuttavia, il problema della tutela dell’affidamento scusabile, riposto – prima del d.l. n. 98 del 2011 – dai professionisti destinatari della norma censurata nell’interpretazione restrittiva della citata disposizione, già accolta dalla giurisprudenza anteriore all’entrata in vigore della disposizione interpretativa; affidamento non rilevante nel giudizio a quo che concerne unicamente un periodo successivo alla norma di interpretazione autentica.

In proposito questa Corte, con riguardo alla previdenza forense, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla relativa Cassa di categoria per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS, siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore (sentenza n. 104 del 2022).

Per il periodo precedente quello che viene in rilievo nel giudizio a quo, l’INPS ha adottato, in termini generali, la regolamentazione di cui alla recente circolare del 3 ottobre 2022, n. 107 (Operazione Poseidone. Titolari di reddito di arti e professioni, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione ad Albi e obbligati all’iscrizione alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. Sentenza della Corte costituzionale 22 aprile 2022, n. 104), per dare seguito ai principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 104 del 2022.

8.– In conclusione, per le considerazioni fin qui svolte, le questioni sollevate dal Tribunale di Rieti vanno dichiarate non fondate in riferimento a tutti i parametri evocati nell’ordinanza di rimessione.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, sollevate, per contrasto con gli artt. 3, anche in riferimento all’art. 118, comma quarto, 23, anche in riferimento all’art. 41, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sollevata dal Tribunale ordinario di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2022.